Pubblichiamo la sintesi dell’intervento della prof.ssa Sofia Di Crisci in occasione del Seminario nazionale CeDEI-UniBo del 27 aprile 2021 Le parole che raccontano. Per una didattica inclusiva: Differenziazione didattica e Universal design for learning.
Il framework
Il framework dell’UDL (vedi figura sotto) esprime una sequenza di proposte e di modalità prescrittive per l’insegnante, mentre descrive i gradi di padronanza raggiunti dai nostri studenti, ognuno al proprio livello di sviluppo, riferendosi a competenze sia disciplinari che a competenze trasversali e soft skills.

Questo permette a noi insegnanti di porci in un’ottica di analisi di capacità e bisogni di ogni studente ed è il presupposto indispensabile per una reale personalizzazione ed inclusione educativa.
Ognuno dei nostri studenti si colloca nella descrizione del framework e può ricevere un feedback positivo su quanto riesce già a fare e uno stimolo ad impegnarsi nel raggiungimento dei livelli più esperti.
Ogni studente ha un portato esperienziale, cognitivo, affettivo diverso dagli altri e l’analisi e la valorizzazione di ognuno ci porta inevitabilmente a smantellare classificazioni basate su criteri come: deficit o eccellenza (che richiedono un approccio inclusivo) e a costruire un pensiero basato su: diversità e unicità (che permette un approccio inclusivo educativo).
Quanto detto, nella pratica, sembra di non facile applicazione: risulta più semplice ( e tradizionale) classificare gli studenti in base a risultati disciplinari e/o eventuali certificazioni, ma questa modalità porta necessariamente una classificazione escludente che si traduce in aule dedicate agli studenti certificati e angoli ghetto abitati dal solo insegnante di sostegno con i “suoi” alunni, quegli stessi angoli che tutti gli studenti e, alcuni docenti, rifuggono.
Se partiamo dall’idea di creare uno spazio che sostenga l’apprendimento di tutti e che tutti apprendiamo in modo diverso, forse possiamo riuscire a cambiare!
Quindi, creiamo spazi di apprendimento che possano accogliere tutti gli studenti e limitiamo le attività eterodirette, puntando molto sul docente nel momento di lancio/motivazione e per i feedback (ottimi in consulenze individuali) e permettendo ai ragazzi di scegliere tempi, modalità e setting nel momento della rielaborazione e restituzione. Applichiamo quella che è stata chiamata equiversalità (equità – universalità) e non lasciamo che questo neologismo sia un’ennesima parola bella, ma vuota.
Nella pratica:
- Eliminiamo barriere linguistiche (etichette: certificato, alunno BES, aula speciale, ecc)
- Eliminiamo barriere nei ruoli: tutti i ragazzi sono responsabilità di tutti, non ci sono docenti che devono occuparsi sempre e solo di qualcuno.
- Eliminiamo barriere spaziali: nelle nostre aule disegniamo spazi che indicano attività: semicerchio alla lavagna per il rinforzo con il docente, isole per il lavoro in gruppo, banchi speciali (colorati) per il lavoro individuale e cuscini o tappeti di gomma per chi si è stancato di stare sulla sedia. Predisponiamo materiali per ricercare e/o approfondire: atlanti, dizionari, laptop, smartphone, riempitempo (libri, giochi di strategia) perché nessuno deve rimanere inattivo e nessuno detta il tempo.
Un impianto del genere richiede alcuni accorgimenti per funzionare:
- l’accordo fra docenti
- una seria formazione comune che porti ad una sperimentazione
- la condivisione con gli studenti di regole (poche, attuabili da tutti e prescrittive)
- la preparazione meticolosa di materiali di lavoro che possano permettere agli studenti di lavorare in autonomia (cioè senza l’insegnante alle calcagna, ma con l’aiuto dei compagni) e a diversi livelli.
- l’individuazione di prodotti in esito al lavoro realizzabili da tutti, ma a livelli diversi: es. realizzare un testo descrittivo = obiettivo del lavoro.
Alcuni studenti lo realizzeranno corretto, articolato, originale, altri saranno meno performanti, ma produrranno un testo descrittivo (non si pone il vincolo del supporto: scritto a mano, al pc, disegno), quindi la richiesta sarà uguale per tutti, ma permettendo agli studenti di scegliere il setting a loro più congeniale e di utilizzare il tempo che ritengono necessario, l’attività sarà individualizzata.
Per concludere ritengo che il cambiamento porta molto lavoro e molta fatica, ma guardare gli studenti che lavorano facendo a meno di noi, collaborando (anche in modi poco ortodossi) senza i pregiudizi e le preclusioni, che forse la nostre vecchie strategie di aiuto ai più deboli alimentavano ci regala quei momenti di soddisfazione che si provano quando si è fatto un buon lavoro.